Blog sull'Autoproduzione e sul consumo solidale ed ecosostenibile, come risposta al consumismo incontrollato e per riscoprire il piacere di creare da sè nel rispetto dell'ambiente.
Le bottigliette d’acqua rappresentano il must dell’estate. Con l’arrivo delle calde temperature non possiamo fare a meno di avere la nostra riserva di liquidi, toccasana soprattutto se si è in giro sotto il sole rovente.
Il portale greenme.it però mette in allerta i consumatori sui rischi legati al riutilizzo delle bottiglie di plastica.
I timori riguardano in particolare le difficoltà a sterilizzare le stesse prima di essere riempite nuovamente. Ciò che preoccupa maggiormente è la possibilità che le materie plastiche possano contaminare con sostanze nocive le 'nuove' bevande. Inoltre va considerata la costante presenza di batteri sulle pareti, in superficie e all’interno, soprattutto se le bottiglie vengono utilizzate da più persone.
A differenza del vetro che può essere sterilizzato se immerso in acqua bollente, le bottiglie inPET, per risultare quasi del tutto ‘innocue’ dovrebbero essere lavate accuratamente con acqua e sapone dopo ogni utilizzo. Un sistema che presenta comunque delle ‘falle’, non è semplice infatti eliminare durante il risciacquo ogni traccia di sapone.
Negli U.S.A. il riutilizzo di bottiglie in PET è rigidamente sconsigliato a causa della possibile presenza di BPA, interferente endocrino capace di avere effetti sul metabolismo ormonale e negli equilibri degli ormoni sessuali con conseguenze dannose sul sistema riproduttivo. Una questione del tutto sottovalutata invece nel nostro paese, nonostante la sostanza sia stata bandita in Europa per la produzione di biberon.
Resta comunque che nella maggior parte dei casi queste bottiglie vengono etichettate come monouso è facile quindi aspettarsi che certe caratteristiche relative alla sicurezza possano venir meno nel momento in cui ne venga fatto un secondo uso.
E’ ancora un mistero sapere se tali timori siano fondati oppure no. Vista l’incertezza resta preferibile sostituirle ogni qualvolta ce ne sia il bisogno, oppure affidarsi alle care e vecchie borracce, naturalmente quelle realizzate con materiali sicuri e senza potenziali ‘effetti collaterali’ sul nostro organismo.
Il ministero della salute contro le apparecchiature per il trattamento dell'acqua destinata al consumo
Tanto inutili da essere persino dannose. Anzi, capaci di eliminare “le caratteristiche di potabilità”. Vendute senza controllo e sulla base di vecchie disposizioni “inadeguate per la salvaguardia della salute”. La relazione tecnica del ministero della Salute che accompagna il decreto sulle «apparecchiature per il trattamento dell’acqua destinata al consumo», firmata dalministro Balduzzi è durissima. E Margherita De Bac, che la riporta sul Corriere, racconta cosa sta cambiando:
Arrivano norme stringenti contro il Far west delle caraffe, utilizzate per filtrare l’acqua di rubinetto. Il provvedimento riguarda anche gli impianti fissi per il lavello di case private e ristoranti. Gli uni e gli altri dovranno rispondere a nuovi requisiti di sicurezza dei materiali ed essere accompagnati da dettagliate istruzioni d’uso. Non solo, i produttori hanno l’obbligo di informare correttamente i cittadini per consentire «scelte di acquisto consapevoli». Le aziende hanno sei mesi per cambiare. Un mercato fiorente quello di caraffe e filtri domestici, ogni anno oltre un milione di pezzi. Si pensa erroneamente, sostengono al ministero, che l’uso di un filtro possa eliminare sostanze pericolose e migliorare la qualità dell’acqua, come sostengono le pubblicità.
Invece anche le indagini avviate da alcune Procure farebbero credere che sono convinzioni non supportate da elementi scientifici:
A Torino una perizia commissionata dal pm Raffaele Guariniello ha dimostrato che l’applicazione del filtro non migliora la qualità dell’acqua di rubinetto. Al contrario, la impoverisce di sali minerali quali calcio, magnesio e potassio, necessari per l’organismo. La società Brita, leader del settore davanti a Coop e Auchan, si era difesa dichiarando che il parere espresso dal Consiglio Superiore di Sanità la scorsa estate non ha «rilevato nessun rischio per la salute. I nostri filtri sono autorizzati in Germania e Austria».
Scrivono gli esperti di Balduzzi:
«Questi apparecchi hanno l’unico scopo di modificare le proprietà organolettiche (sapore, odore, colore)» e una non ottimale manutenzione «potrebbe addirittura far sì che nel tempo l’acqua in uscita perda le caratteristiche di potabilità (ad esempio i corretti valori di Ph)». PerMatteo Vitali, professore associato di Igiene all’università la Sapienza, era urgente porre fine al «Far west»: «Molti apparecchi — afferma il docente — non sono costruiti con materiali idonei all’uso alimentare, sono sprovvisti di manuali per la manutenzione e di scadenze certe, fondamentali per la sicurezza del consumatore. Oltretutto modificano l’acqua indistintamente senza tener conto della sua composizione specifica. Esempio, quella di Roma è ricca di calcio e magnesiomentre quella di Torino presenta contenuti di questi sali molto piu bassi. I filtri rimuovono buona parte di calcio e magnesio senza distinguere. L’acqua di Torino così risulta estremamente povera di questi elementi. Inoltre la durezza dell’acqua non nuoce».
Oggi 22 marzo è la Giornata Mondiale dell’Acqua 2012. “Il mondo ha sete perché abbiamo fame” il titolo di questa edizione, la ventesima da quando nel 1993 si svolse la sua prima celebrazione, in riferimento all’importanza dell’approvvigionamento di acqua fresca e potabile unito a quello alimentare.
Il punto su cui preme maggiormente la Giornata Mondiale dell’Acqua 2012 è sottolineare come, insieme ad un’attenta e più rispettosa gestione delle risorse idriche, vada posto l’accento sul fatto che il nostro approvvigionamento personale di acqua avviene non soltanto bevendola. Nonostante la media pro capite sia compresa tra i 2 e i 4 litri al giorno, molta dell’acqua assimilata dal corpo umano è riferita ai cibi.
Nel mirino quest’anno non soltanto gli sprechi idrici, ma anche quelli alimentari e relativi alla produzione di cibo. Come sottolinea nel rapporto “Progress on Drinking Water and Sanitation 2012″ della UN-Water, per la produzione di un pomodoro, di una fetta di pane, 100 gr. di formaggio o un hamburger sono richiesti rispettivamente 13, 40, 500 e 2.400 litri d’acqua.
Un consumo giornaliero che varia in maniera decisa in funzione del proprio regime alimentare: seguire una dieta vegetariana richiede un consumo compreso tra i 1.500 e i 2.600 litri d’acqua, cifre che salgono tra i 4.0000 e i 5.400 qualora si includa un consistente apporto di carne.
Significativa anche la scelta in merito al luogo di svolgimento dell’evento principale della Giornata Mondiale dell’Acqua di quest’anno: la Sala Verde della sede centrale della FAO a Roma. I lavori si apriranno con un messaggio inviato dal Segretario Generale dell’ONU Bang-Ki-Moon e il saluto del Direttore Generale della FAO José Graziano da Silva.
Molti gli ospiti internazionali presenti, mentre alla discussione prenderanno parte, per il Governo italiano, il ministro dell’Ambiente Corrado Clini e il Sottosegretario alla Politiche Agricole Franco Braga. Seguirà un momento di discussione con la possibilità di domande da parte del pubblico e la presentazione dei vincitori di UN-Water “Acqua per la vita”, premio per le migliori pratiche nel rispetto delle risorse idriche.
Previste inoltre anche iniziative locali in Italia e nel mondo, come ad esempio la vendita di cactus a Forlì e dintorni da parte dell’associazione LVIA per finanziare interventi di manutenzione e gestione delle risorse idriche in Tanzania, Etiopia e Kenya. Federutility lancia invece la campagna “Rubinetti trasparenti”: da oggi online i rapporti sulla qualità dell’acqua potabile italiana divisi per regioni.
L’acqua, fondamentale risorsa del Pianeta, sta rapidamente sparendo. La sua scarsità a livello globale si profila come la maggiore minaccia di crisi ecologica, economica e politica. L’oro blu, bene imprescindibile per la vita umana, è sotto minaccia. Soprattutto perché fa gola alle multinazionali e il suo business ha un valore immenso. Per questo, le più potenti aziende del pianeta si affannano nella corsa alla trasformazione di questa risorsa in bene commerciabile. Anche se questo significa estrazione sregolata e selvaggia dalle falde.
Come sta accadendo in Pakistan, dove i pozzi scavati dalla multinazionale svizzera Nestlé stanno privando la popolazione dell’acqua potabile, che poi rivende a caro prezzo bell’e imbottigliata, la prima acqua “purificata”, cioè acqua di rubinetto trattata con l’aggiunta di minerali, commercializzata nel Paese asiatico. La dura denuncia viene da “Bottled Life”, un film documentario a breve in programma nelle sale svizzere, realizzato dal regista Urs Schnell e dal giornalista Res Gehriger.
“Come si trasforma l'acqua in un business da miliardi di dollari? La risposta sta nelle mani della società svizzera Nestlé”, spiega il trailer. Così, un giornalista di Zurigo inizia a indagare sulla corporation più potente del suo Paese e questo viaggio lo conduce dalla Svizzera dritto dritto verso il Pakistan, dove viene coinvolto in una dura lotta tra cittadini, piccole formiche inermi che cercano di proteggere le loro fonti locali, e un gigante internazionale.
Analizzando il successo del marchio Nestlè “Pure Life” , il più importante al mondo ,"un gioiello nel nostro portafoglio", secondo John Harris, capo di Nestlé Waters, il documentario si addentra nei meandri di un commercio ignobile e sregolato, smascherando i traffici “illeciti” di uno dei più spregiudicati ladri d’acqua, insieme a Danone e Coca-cola.
Maude Barlow, ex consulente delle Nazioni Unite responsabile per la questione dell'acqua, spiega che “quando una società come la Nestlé compare dal nulla e dice, Pure Life è la risposta, vi stiamo vendendo l'acqua dei vostri stessi terreni, mentre dai rubinetti non ne esce nemmeno una goccia, o se c’è è imbevibile –il che è ancor più da irresponsabili- non possiamo che definire tutto ciò praticamente un atto criminale".
Ma cosa replica a queste accuse la Nestlé? Mette per iscritto, nero su bianco, in un comunicato diretto al giornale Tages Anzeiger il proprio impegno sul piano sociale: “abbiamo realizzato due impianti di filtraggio che offrono acqua potabile a oltre 10.000 persone a Sheikhupura, in Pakistan con acqua potabile e prevediamo di costruirne un altro per il 2012”. Ma, in realtà, nel frattempo, si è sempre rifiutata di rilasciare interviste e di far visitare gli impianti, come spiegano Schnell e Gehriger.
Eppure, il ritratto dell’azienda che viene fuori dal documentario è in netto contrasto con i valori sbandierati dall’azienda. Così, cocciuto e imperterrito, Gehriger visita un campo profughi in Etiopia dove, nel 2003, Nestlé aveva installato un impianto per il trattamento dell’acqua. Ha così scoperto che, appena due anni dopo dal suo avvio, non ha mai più funzionato correttamente. E la scarsità d'acqua è tornata a farsi sentire. Ma si tratterà sicuramente di una sfortunata coincidenza…
Fatto sta che secondo uno studio dell’ United Nations Comitee on Economic, Social and Cultural Rights, oggi in Pakistan, il 44% della popolazione non ha ancora accesso ad acqua potabile e sicura. Percentuale che sale al 76.5% nella popolazione delle aree rurali. Ogni anno, continua lo studio, in Pakistan muoiono più di 200.000 bambini a causa della dissenteria e l’accesso alle proprie falde sotterranee è la sola possibilità per le persone per avere acqua sicura. Insomma, l’acqua è vita, non un bene da cui trarre un indiscriminato profitto, in nome del quale, la Nestlé sta contribuendo al depauperamento delle risorse idriche, inaridendo le locali fonti d'acqua e i pozzi fino a oggi utilizzati per uso domestico e agricolo. Inoltre, l'attuale estrazione dell'acqua condotta dalla Nestlé non è sostenibile: la multinazionale preleva oro blu molto più velocemente di quanto possa essere naturalmente rinnovata, mettendo a grave rischio il diritto all'acqua delle future generazioni.
Ecco il trailer:
Ecco i prodotti commercializzati da Nestlé:
Acque minerali: Vera, San Bernardo, San pellegrino, Perrier, Sant’Antonio; Caffè e cacao: Nescafé, Orzoro; Cioccolato: Perugina, Nestlè;
Salumi: Vismara, King’s;
Olio: Sasso; Dolci: Smarties, Kit Kat, Galak, Lion, After Eight, Quality Street, Toffee, Polo, Motta, Alemagna; Conserve: Berni; Formaggi: Locatelli; Pasta: Buitoni, Pezzullo; Riso: Curtiriso; Preparati per brodo: Maggi; Surgelati: Surgela, Mare Fresco, La Valle degli orti; Gelati: Motta, Alemagna, Antica Gelateria Del Corso; Cibi per animali: Friskies, Buffet; Cosmetici: L’Oreal
La nostra spazzatura potrebbe essere impiegata per la produzione di acqua. Non è il sogno visionario di qualche ambientalista, ma ciò che Eco Wiz, un macchinario rivoluzionario che prende il nome dalla start up di Singapore che lo ha realizzato, è in grado di fare: trasformare gliavanzi di cibo in acqua pulita.
Invenzione coreana, Eco Wiz è stato perfezionata, grazie ad un investimento di 380mila dollari dall’omonima azienda della Repubblica sud asiatica, specializzata nella ricerca e nell’innovazione della gestione dei rifiuti solidi urbani, che la produce. Ed è capace di ricavare da una tonnellata di rifiuti alimentari in oltre 1000 litri d’acqua, da impiegare per l’irrigazione e l’igiene di pavimenti e servizi. Un bel vantaggio sia in termini di risparmio delle risorse idriche che di riduzione della mole di rifiuti prodotti.
Intervistato dal quotidiano The Jakarta Globe, il titolare della società Renée Mison spiega che "a Singapore per ogni tonnellata di rifiuti spediti in discarica, si deve pagare una tassa di smaltimento piuttosto alta, ma i nostri clienti hanno scoperto che stanno ottenendo un risparmio del 70% sulle tariffe di smaltimento dopo aver acquistato il nostro macchinario”.
L'azienda ha installato decompositori in diversi hotel, tra cui l’InterContinental di Singapore, e presso alcune sedi istituzionali, come il Politecnico di Singapore, migliorando non solo le spese dei clienti, ma anche il loro impatto ambientale. E la start up non ha intenzione di fermarsi: “prestazioni più elevate potrebbe consentirci di commercializzare i nostri prodotti all’industria alimentare, ai supermercati, alle scuole”. Oltre a creare una soluzione in ogni famiglia, che potrebbe così trasformare lo smaltimento dei rifiuti in acqua per la lavatrice, per esempio.
Proprio per questo ha firmato un accordo con un istituto di ricerca tailandese per migliorare le prestazioni e la specializzazione, a seconda dei cibi immessi, dei microrganismi che agiscono come decompositori, utilizzati per convertire i rifiuti alimentari in acqua. "Così se dovessi vendere il macchinario ad un’azienda dell’industria alimentare che fa insalate, per esempio, voglio immettere i microbi specializzati nella decomposizione delle verdure", ha spiegato Mison. Una mossa che potrebbe consentire a Eco wiz di svolgere il suo compito in maniera ancor più veloce ed efficiente.
Meno sperchi alimentari e più acqua a disposizione...mica male no?